Sono un consulente aziendale, un coach e un consulente filosofico. Mi occupo di persone e organizzazioni. Qui scrivo di come cambiare le une e le altre. In particolare, ma non solo, con le pratiche filosofiche. Perchè, come dice Wittgenstein, "compito della filosofia è mostrare alla mosca come uscire dalla bottiglia". E... giusto per essere chiari: qui le mosche siamo noi. Per chi desidera scrivermi c'è l'e-mail paolo.cervari@gmail.com, mentre per saperne di più su ciò che faccio c'è www.cervari-consulting.com.

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lunedì 2 dicembre 2013

Popolo e polizia

"I taxi erano disposti in un cerchio completo e sembravano una carovana che si fosse preparata per la notte formando una difesa contro gli apache, il fisco, i concorrenti che facevano prezzi stracciati e la gente intenzionata a prendersi quello che riteneva le spettasse di diritto".

Jo Nesbo (Polizia, 2013, p. 483) è meglio di Dickens, così come celebrato da Marx. E ve lo dimostro subito. Chi sono quelli da cui ci si difende mettendosi in cerchio? Lo stato (il fisco), il mercato (i concorrenti), i clienti, utenti e consumatori (la gente intenzionata a fare giustizia). 

E gli apache? Quelli sono nei film. E li sta la verità del nostro tempo (che Marx non poteva cogliere): è dall'immaginazione che ci viene il modello di realtà. I nostri profeti sono registrati su youtube. 


Fine della storia? Forse, eppure... perché gli apache mi ricordano quella cosa che non ha né forma né storia, che giace nel passato perché brama redenzione nel futuro, che emerge nel possibile per reclamare quanto non è riuscita ad essere e "sogna la fine del duro servir" (primo coro dell'Adelchi di Manzoni, che non cito a caso)?

Perché gli apache mi sembrano l'avatar, televisivo e spettacolare, di quanto oggi meno che mai si riesce ad evocare, o vocare o avvocare... ovvero il popolo? 

Si parla tanto di stato e mercato, di mercato contro stato e stato contro mercato, ma ecco che un volgare (sic!) scrittore di best sellers ci fa balzare addosso il popolo, gli apache. 

E tu dove stai? Chi sei? Sei un apache o uno della polizia? Oppure in quanto lettore li sogni tutt'e due?  

sabato 30 novembre 2013

La diva Julia è vera

"Roger dice che non esistiamo. Macché, solo noi esistiamo davvero. Loro sono le ombre a cui noi diamo sostanza. Siamo i simboli di tutto questo trambusto vano e confuso che chiamano vita, e solo il simbolo è reale. Dicono che recitare è soltanto finzione. Questa finzione è la sola realtà."

E' la pagina finale di La diva Julia di Somerset Maugham, grandissimo scrittore, e mi pare interessante perché mostra come la dialettica tra realtà e finzione sia complessa e paradossale. La vita "vera" quella dei personaggi non attori, è in realtà vana e confusa e solo la finzione degli attori sul palcoscenico, l'arte, è vera realtà. "Solo il simbolo è reale" dice Maugham per bocca di Julia, che è molto più perspicace di lui, il quale una riga dopo si precipita a filosofeggiare dicendo di lei che ha reinventato "di testa propria la teoria platonica delle idee". La teoria di Julia non è per nulla platonica. Se mai nietzscheana, forse, e comunque diversa da quella di Platone perché le ombre vane e confuse non sono riflessi delle splendide idee reali. Ne sono invece l'origine. L'arte, il linguaggio, il simbolo danno forma a qualcosa che c'è già e che loro prendono in carico, con una certa protervia e violenza, per portarlo a intelleggibilità.La finzione degli attori resta tale, non è la realtà più vera: "Tutto il mondo è teatro" dice, anzi pensa, poco prima Julia, "e uomini e donne solo commedianti". Insomma incipit coemedia, come mi pare citasse appunto Nietzsche riferendosi a Dante Alighieri. Una commedia divina, come divina è la diva Julia....

domenica 17 novembre 2013

L'intuizione va per forme e movimenti

"A una bambina di dieci anni, naturalmente, non era facile spiegare la teoria che stava alla base di una simile contrapposizione. Lei non capiva nemmeno la differenza tra rivoluzione e pace. Le sembrava solo che la rivoluzione fosse un modo di pensare appuntito, e che invece la pace avesse una forma arrotondata. I due modi di pensare, infatti, avevano forma e colore. E come la luna, diventavano pieni e calavano. Quella, più o meno, era l'idea che si era fatta sulla differenza tra pace e rivoluzione".

 Sono parole di Murakami (1Q84, pp 648/9) ed esprimono benissimo quello che ho inteso con altro post sul concetto di intuizione. Non è una facoltà misteriosa, ma una facoltà antica (sia in senso filogenetico che ontogenetico) e orientata a "farsi un'idea" prima di avere padroneggiato (come crediamo di sapere fare) il concetto. In realtà tutti i nostri concetti sono un miscuglio di queste "intuizioni" e altri elementi (forse, non sono sicuro che vi sia altro) e come il brano esprime bene, siamo qui nel dominio della metafora, per lo meno nel senso in cui la intende Lakoff, al cui proposito e in particolare al suo libro "Da dove viene la matematica. Come la mente embodied dà origine alla matematica" (2005) vi posso rimandare a questo bel post di Mario Esposito. Che è un'ulteriore conferma di quanto penso e ripenso da un po': così come ci dicono molti studi sull'empatia (su cui ho scritto qualche cosa, tra cui una parte di un libro, per maggiori informazioni potete andare qui) tutto si basa sul movimento. 

domenica 3 novembre 2013

Coaching e team coaching

E' un intervento fatto al convegno l'Altra Formazione il 3 Ottobre 2013. E' utile per capire cosa faccio sia in aula che nel coaching.  

Non c'è metalinguaggio

Il titolo cita una celebre frase di Lacan che il video illustra in modo intelligente e spassoso: la comicità può essere filosofica e i giochi di "dentro e fuori la cornice" lo sono sempre (basti pensare ai libri di Lewis Carrol), almeno per me che ho sempre sghignazzzato di gusto nel leggere L'Uomo senza qualità. Faccio notare soltanto che in questo sketch non si capisce quando si inizia e quando si finisce e che le regole che definiscono ciò che il monologo è e ciò che non lo è vengono continuamente riscritte, tradite, fraintese. Come sempre, come normalmente: Bateson diceva che non si può dire "ferma il gioco è finito" se non a rischio di fallire... ma mi fermo qui, perché su questo tema ci sarebbe  da dire molto di più. Godetevi la scenetta e consideratela una versione drammatizzata e sotto mentite spoglie della famosa "classe di tutte le classi che non comprendono se stesse".  

 

venerdì 11 ottobre 2013

Social business: un utile chart

L'infografica (fatta bene) ha il pregio di essere sintetica. Bisogna saperci un poco fare con l'inglese, ma seguendo i link si hanno un sacco di informazioni.

sabato 5 ottobre 2013

Sei all'altezza di te stesso?

"Il rimorso di coscienza è una scostumatezza."

Friedrich Nietzsche, Frammenti Postumi, 1888 


domenica 22 settembre 2013

L'infinito intrattenimento

Era il titolo di un libro di Blanchot ma in realtà, benchè non ricordi dove, questa striscia veniva presentata come illustrativa del decostruzionismo di Derrida. Su costui vi ho scritto una tesi di dottorato... e anche se ovviamente la striscia è riduttiva, vi assicuro che mi fa sbellicare dalle risate. Vale per tutta l'ermeneutica, peraltro, motivo per cui si comprende il buon gioco avuto in questi tempi dai nuovi scopritori della realtà (cfr. Bentornata realtà a cura di M. Ferraris). 


domenica 25 agosto 2013

La passione è stile (o ha stile?)

“Una passione non si può esprimere pacatamente, disciplinatamente, morigeratamente, e nessuno può definirne la forma al posto di un altro.”

Magda Szabò, La porta

giovedì 15 agosto 2013

Fare ripartire l'Italia: una proposta

Come si può fare ripartire le imprese italiane, soprattutto le PMI? Ecco la risposta:

“Il fattore chiave, emerso in tutte le esperienze, è la capacità di valorizzare le competenze e le conoscenze che ogni singola impresa ha disponibili al suo interno. Molto spesso la capacità di riorganizzare le competenze e rivitalizzare il capitale umano dell’impresa è la via più economica per attivarne il rilancio, insieme al processo di internazionalizzazione per diversificare l’accesso ai mercati. Le imprese che in questi anni hanno saputo, e potuto, perseguire la via alta dello sviluppo, attraverso investimenti in processi innovativi, in formazione per il capitale umano, in riorganizzazione più efficiente delle procedure e maggiore presenza sui mercati internazionali, sono state molto spesso protagoniste di importanti esperienze di rinascita.”

Il testo qui sopra è tratto dal Working Paper in cui sono presentati gli atti del seminario “Economia e Società della Conoscenza: le sfide in atto per imprese e territori” che si è svolto il 15 marzo 2013 presso la sede di Torino di Confindustria Piemonte. Il seminario è stato promosso e realizzato dalla Fondazione Adriano Olivetti, con la collaborazione del BRICK/Bureau for Research in Innovation, Complexity and Knowledge dell’Università di Torino e di Confindustria Piemonte.

Ora ci viene spontanea la domanda: perché le PMI italiane non lo fanno (o per lo meno lo fanno in pochissime)? Credo che sia per mancanza di cultura, di prospettive, di proattività e di fiducia. Tra le altre cose nei consulenti, che vent'anni di malaffare e malcostume a livello tanto pubblico quanto privato hanno destituito di credibilità. Sono convinto che un maggiore credibilità (e competenza e autorevolezza) dei consulenti sia un fattore chiave per fare ripartire l'Italia. Da dove cominciamo? 

sabato 3 agosto 2013

La verità che ti afferra

Vi sono verità che asservono e verità che asseverano. Verità che deliberano e verità che liberano. Quest'ultima, delle quattro, è la più inafferrabile. Anche perché, per lo più, è lei che afferra te.

domenica 14 luglio 2013

Il ritorno dell’intuizione

Nel parlare comune spesso facciamo riferimento all’intuizione: “ho intuito che…”, “ho avuto un intuizione..” ecc.  Di fatto nella nostra cultura, e in special modo nella cultura organizzativa dominante, tendiamo a squalificare questa modalità di conoscenza. Tendiamo a pensare che sia “irrazionale”, tutta da verificare, magari addirittura infondata. Nessun direttore marketing approverebbe una campagna pubblicitaria sulla base di un’argomentazione del genere – anche se, va detto, e ho scelto l’esempio a bell’apposta, il creativo di turno di fatto va per intuizioni. E tuttavia questa modalità esiste, opera ed è efficace: chiedetelo a un tennista o a un danzatore, chiedete loro di spiegare come fanno a indovinare quel tal colpo o quel tal movimento. Oppure pensate agli artisti, ma anche ai coach: chiunque come me faccia coaching (ma ho fatto anche danza) sa perfettamente che a un certo punto “vede” la configurazione, “sente” la strada da seguire, intuisce la domanda giusta da fare. E ancora pensate ai grandi innovatori, ai grandi capitani d’impresa, ai grandi strateghi ecc. ecc. Il punto è che poi non abbiamo le “parole per dirlo” e tutto questo bel lavoro della nostra mente (della nostra mente-corpo come vedremo), si costringe suo malgrado a tornare là da dove è venuta, ovvero il mondo del poco chiaro, del confuso e dell’indistinto…
Ho ripreso a pensare a queste cose oggi, sentendo a una trasmissione di Radio 24 Massimo Cacciari che parlava del pensiero ortodosso, dicendo che ciò che in esso lo colpisce e lo affascina è il rapporto tra la parola e il silenzio, tra il visibile e l’invisibile: come cioè la parola e il visibile possono fare cenno e additare a ciò non si può dire e tace. E che tuttavia, come sanno ormai tutti, essendo l’essenziale, con una bella scivolata nel pop, “è invisibile agli occhi”, come diceva il Piccolo Principe. Ma la breve dichiarazione di Cacciari mi ha risvegliato un insieme di ricordi filosofici. Vado per sommi capi e mi scusi chi non ha cultura filosofica, ma da Platone in poi in filosofia si parla spesso di intuizione, e sempre con la connotazione di “conoscenza diretta”, sia essa sensibile o intellettuale (come diceva Kant) e propriamente non discorsiva. Di qui mi discendono due tipi di sequenze di pensiero.

Prima. La consulenza filosofica e il sapere filosofico hanno di mira proprio questo: il proprio oltre, se vogliamo (Oltre la filosofia è un bellissimo libro di Giangiorgio Pasqualotto, tra l’altro), cosa che Ran Lahav ha designato come “l’intero”, in un’ottica ancora troppo platonica, a mio avviso, e quindi in fondo mistica al modo antico e poi cristianeggiante.

Seconda. La conoscenza diretta  di cui sopra si è oggi rifugiata nell’estetica e nell’arte (che non sono affatto la stessa cosa), cosa che ci contorna con belle movenze una dimenticata voce dell’Enciclopedia Einaudi a firma del giovane Agamben che parlava del gusto come “sapere che non si sa”.  Ma più profondamente ancora oggi sappiamo che l’intuizione (e con essa il gusto) ha le sue basi nell’empatia che, secondo la configurazione che esce dalla sua riconsiderazione a partire dalle neuroscienze  e dalla scoperta dei neuroni specchio, ha fondamento nella motricità (ricordate il tennista e il danzatore?), e al riguardo mi permetto di rimandare a IES – Intelligenza empatico sociale di Franco Angeli (la parte scritta da me). E qui va detto che si tratta di percorsi mentali precognitivi (che non è una contraddizione in termini, come molti penseranno, sbeffeggiando con ciò implicitamente non solo i filosofi già citati, per non parlare di tutti gli scienziati che non ho nominato, tra i cui vorrei qui di passata ricordare Maturana e Varela e il loro concetto di “embodied cognition", ma pure per dirne solo alcuni Bergson e Husserl)  o per lo meno protocognitivi come sostiene Fabrizio Desideri nel suo La percezione riflessa (Cortina), che al riguardo pone argomenti a favore molto probanti in un continuo dialogo tra filosofia e neuroscienze. Insomma la si chiami intuizione, capacità estetica, gusto o empatia, siamo in presenza di una vera e propria facoltà della nostra mente. Che tuttavia non è riducibile alla discorsività e alla logica. E credo che in fondo a questo alludesse un pensatore molto poco platonico come Wittgestein quando ci parlava del mistico, che era per lui il luogo (forse sacro nel senso di Bateson, e qui rimando al suo postumo e scritto insieme a sua figlia  Là dove gli angeli esitano, Angels  fear in edizione originale con l’illuminante e ossimorico sottotitolo: Towards an Epistemology of the Sacred, verso un’epistemolgia del sacro) cui ci deve condurre il discorso logico, che secondo lui era una scala, che andava usata e poi buttata.

Concludendo, mi chiedo e vi chiedo: perché mai di tutto questo nelle organizzazioni non si fa nulla? Eppure sappiamo benissimo che funziona (vi ricordate i grandi capitani d’impresa di cui sopra? E i grandi strateghi?): tutti abbiamo studiato di come la molecola del benzene venne scoperta in sogno. Insomma la conoscenza (e con essa l’apprendimento) non è solo discorsiva, non è del tutto analizzabile, non è scotomizzabile integralmente a pezzetti secondo una logica lineare e fordista il cui emblema da me più aborrito è il modello di problem solving a lisca di pesce di Ishikawa, buono solo per le catene di montaggio.

Certo, si dirà, ma resta che poi, come si diceva prima, di tutto questo in fondo non ne sappiamo poi un gran che e quindi non possiamo darcene gran pensiero.  E allora come mai gran parte del pensiero organizzativo ci parla del valore della conoscenza tacita? E’ vero, forse, non sappiamo descriverla (se no sarebbe esplicita), per lo meno non completamente per il pensiero logico,  ma oggi, sapendo che stiamo parlando di una facoltà che ha a che vedere con l’arte, il gusto, il movimento e la famigerata intuizione da cui siamo partiti, sappiamo come farla crescere, attivare, incrementare. Anche se, per farlo, e qui sta la resistenza organizzativa, bisogna abbandonare il modello “comando e controllo”. Qui non si comanda e non si controlla: si favorisce, si attiva, si facilita. E le aziende vincenti di domani somiglieranno alle botteghe rinascimentali.

A proposito, sapete qual è il fondamento del mitico “intuito femminile”? La maggiore competenza relazionale ed empatica delle donne, che pare abbiano neuroni specchio più efficienti dei maschi. Del resto sono più brave anche coi colori e coi vestiti, coi trucchi (in ogni senso del termine) e con l’estetica, con il ricamo e con la danza… 

domenica 30 giugno 2013

La Dea e il cambiamento

"La Dea Universale, la Madre del Mondo, è, tra le grandi divinità tutelari conosciute dai miti di tutto il mondo, una delle più antiche e dotata del respiro più ampio. E' rappresentata ovunque in santuari (....); essa fu conosciuta dalle culture del Mediterraneo sotto vari nomi - Cibele, Iside, Ishtar, Astarte, Diana; era la Magna Mater."
Così dice Heinrich Zimmer, nel suo splendido Il re e il cadavere (Adelphi) richiamandosi a una serie di studi ed indagini tra cui primeggia a mio avviso quella di Robert Graves, La Dea Bianca (sempre Adelphi, è genere adatto all'editore). Ma al di là di qualsiasi ripescaggio più o meno erudito o neoromantico di antichi miti che furono, considerando che forse oggi il mito ha ancora qualcosa da dirci nella misura in cui si occupa di quelle questioni che James Joyce riteneva "gravi e serie", ovvero, preciso io, quelle a cui non c'è risposta al livello della decidibilità propria alla logica del terzo escluso e del principio di non contraddizione (che non sono la stessa cosa), credo che le parole più interessanti Zimmer le dica una pagina più avanti: "Sembra che il nocciolo del mito della Dea sia questo: a nessuno è permesso di rimanere a lungo quello che è".
E' proprio il caso di dirlo: sante parole.

Mito e sviluppo personale

“Ammiro molto lo psicologo Abraham Maslow; tuttavia, in uno dei suoi libri, ho trovato una specie di scheda di valori per i quali le persone vivono, definiti sulla base di una serie di esperimenti psicologici. Tali valori sono: sopravvivenza, sicurezza, relazioni personali, prestigio, sviluppo personale. Mi sentivo così strano, a leggerla, senza capirne la ragione… finché non ho capito che questi sono esattamente i valori che la Mitologia trascende.
La sopravvivenza, le relazioni personali, il prestigio, lo sviluppo personale, nella mia esperienza, sono esattamente i valori per cui una persona ispirata dal proprio Mito non vive. Essi hanno a che fare con gli aspetti biologici compresi dalla coscienza. La Mitologia inizia là dove parte la follia. Una persona davvero dedicata ad una chiamata, ad una missione, ad un credo, sacrificherà la propria sicurezza, persino la vita, le relazioni personali, il prestigio, non penserà neanche al proprio sviluppo personale; si abbandonerà completamente al proprio Mito.
I cinque valori di Maslow sono i valori per cui vive chi non ha nulla per cui vivere."

Sono parole di Joseph Campbell, il celebre autore di "Le Maschere di Dio" (The Masks of God, 1959-1968) di cui consiglio vivamente la lettura a chiunque sia interessato a capire quali sono le cose che noi esseri umani abbiamo tutti in comune (è tradotto in Italia da Mondadori). Di mio solo una piccola aggiunta: Campbell non rileva, per lo meno qui (non riesco a ritrovare la fonte, credo sia L'eroe dai mille volti)  che  ciò che limita il pensiero di Maslow è l'approccio individualista. Il mito ci collega a ciò che non siamo (e dunque siamo), a ciò che lui chiama follia e che per me altro non è che la partecipazione che ci lega gli uni agli altri (il che ha in effetti a che fare con la follia: come diceva Mallarmè "Io è un altro", che sia detto con ironica umiltà, fu il titolo della mia tesi di laurea). Inoltre, a completamento, invito a chiedersi cosa c'entri con tutto questo questa massima di Martin L. King, che riprende a sua volta una lunga tradizione sapienziale, etica, civile, politica e filosofica: "Se un uomo non scopre ciò per cui può morire, non sa vivere". 

domenica 19 maggio 2013

Imparare a morire

Sarà perchè ho scritto un libro che s'intitola Harry Potter e la (tua)morte, sarà perché in un paio di occasioni della mia vita avrei dovuto morire, sarà perchè la filosofia consiste secondo alcuni in una preparazione alla morte... In ogni caso la morte mi interessa e questo speach affronta il problema in modo molto bello e molto pratico, anche perchè parla di come moriremo e di come possiamo decidere come farlo.


domenica 5 maggio 2013

Le vedove del giovedì

E' un romanzo di Claudia Pineiro, poco nota da noi, per i tipi del Saggiatore. Lo consiglio e vi invito a leggerlo. Fredda come Paul Auster, appassionata come Bolano, idisosincratica e universale come solo un'argentina (ricordatevi di Borges) può esserlo nel cantare una crisi economica che data al 2000 ma, date varianze sociali, storiche e culturali, sembra per molti versi la nostra, la nostra Claudia Pineiro (di cui ricordo anche il divertentissimo Tua, Feltrinelli) ci racconta di come molta gente non riesca a sostenere il dramma di una decrescita del tutto infelice. Come sostenere il dramma di non potere più permettersi il SUV e la casa esclusiva nell'enclave paradisiaco pieno zeppo di schiavi paraguiani? Leggetelo e chiedetevi se siete la domestica (o la figlia adottata) di pelle troppo scura o il manager trombato dalla solita multinazionale.

martedì 2 aprile 2013

La collaborazione è esponenziale

La cosa sconcertante è che questo video è del 2005. Cominciamo a vederne davvero gli effetti adesso, forse. L'altra cosa sconcertante è che negli USA ne hanno tratto le conseguenze e ci sono molte organizzazioni che hanno deciso di percorrere questa strada. Da noi a parte il M5S - che è comunque un'avanguardia mondiale - credo molto poco. In ogni caso è tutto da vedere. E capire.

lunedì 1 aprile 2013

Video on line e Crowd Accelerated Innovation


"Sei parte della folla che potrebbe essere in procinto di accendere il più grande ciclo di apprendimento della storia umana."

Chris Anderson, da TEDTalk su the Crowd-Accelerated Innovation

domenica 31 marzo 2013

La ragione e la libertà

"La ragione, in tutte le sue imprese, si deve sottomettere alla critica, e non può mettere nessun divieto alla libertà di questa, senza nuocere a se medesima e attirare su di sé un sospetto pregiudizievole. Poiché niente è così importante rispetto all'utile, niente così sacro, che si possa sottrarre a questo esame che scruta e squadra senza rispetto per nessuno. Su questa libertà, anzi, riposa l'esistenza della ragione, che non ha autorità dittatoria, ma la cui sentenza è sempre non altro che l'accordo di liberi cittadini, ciascuno dei quali deve potere formulare i suoi dubbi, e per fino il suo veto, senza impedimenti".

 Immanuel Kant, La disciplina della ragion pura rispetto al suo uso polemico

Ora, come spero si sia capito, non pubblico citazioni a caso. Diversamente potrei pubblicarne a badilate, tanto si trovano in rete. Pertanto vi chiederei, sulla fiducia, di provare a leggere davvero e di cercare di capire (non è scontato: io stesso leggo spesso senza capire, per non dir di quando faccio finta di ascoltare). 

................................................................. (provato?) .................................

Bene, posto che voi abbiate pensato (ne dubito) vediamo cosa pensando io posso aiutarvi a pensare voi. Che cosa consegue da questa bella pensata di Kant? 

1) Non c'è autorità ultima: Dio è morto e, richiamando Nietzsche, noi ci ridiamo sopra. 
2) La verità è faccenda di negoziazione sociale (con tutta la complessità possibile relativa a "sociale" e "negoziazione", per non parlare dell'istrionico ed erudito "faccenda") 
3) Quanto sopra comporta la libertà come fondamento 
4) La libertà non ha alcun fondamento se non nel fatto di porsi come atto che si autofonda (non apro parentesi perché ci vorrebbe un trattato) 
5) Per cui non vi è alcuna certezza (compreso il fatto che non si sa bene cosa sia la certezza) 
6) Pertanto il senso dell'atto si fa andando e vedendo (come diceva Mogol) 
7) Last but not least: sarà stata buona la scelta, dopo. 
8) Si scommette sempre 
9) Ci serve una scienza della scommessa. 

Nove massime mi sembrano un buon numero: consideratelo l'enneagramma dei tempi interessanti. E, come dicono i cinesi, vi auguro che non siano tali. Ma non è così. 


Per rilanciare, tuttavia, vorrei fare notare quel "senza rispetto per nessuno" detto da Kant nella citazione di cui sopra. E' punto grave, perché "rispetto" è per Kant cosa importante. E anche per noi. Ragionare su questa faccenda (ancora) è impossibile nei limiti di un post. Mi limito pertanto a farvi qualche domanda: 

1) Chi è o che cosa è ciò che non ha rispetto per nessuno?
2) Secondo il testo ciò ("senza rispetto per nessuno") appare dissacratorio: in cosa consiste questa negazione del sacro?
3) Chi è questo nessuno? E' un qualcuno? 
4) Ripudiare il qualcuno in quel "nessuno" significa rinnegare il rispetto? 
5) Siamo certi che vi sia qualcosa oltre (più alto, più sacro) del rispetto?
6) Potrebbe, questo qualche cosa che eccede il rispetto, essere la libertà?
7) Di chi? Mia o tua o nostra o loro? 
8) E cosa regola, se la regola, questa libertà? 
9) Oppure, al fondo di tutto c'è la violenza, l'imposizione  (per chi sa di cosa stiamo parlando, in tedesco, Gewalt) ? 

giovedì 28 marzo 2013

Come si producono le nuove idee?

In sintesi: bisogna scambiare, mescolare e riprovare, senza sapere bene dove andare. Steven è bravissimo, ascoltatelo.

 

Daniel Kraft: Il futuro della medicina? Esponenziale

L'essenziale non è tanto il tema quanto il pensiero dell'innovazione: sarà più veloce, molto più veloce di quanto possiamo immaginare. Il futuro non solo non è più quello di una volta, ma molto più imprevedibile.

 

Enterprise 2.0 Summit 2013 Parigi

Volevo segnalare questo evento, dove si possono trovare molte informazioni utili su un mondo in evoluzione (all'estero) e ancora abbastanza mitologico (in Italia):  http://www.e20summit.com/. Buona ricerca. 

domenica 24 marzo 2013

Ecco come smartphone e tablet cambiano le aziende

di Cronologia articolo22 marzo 2013Commenta

Uno degli elementi che in futuro potrà produrre significativi profitti per l'azienda: questo pensano, parlando di mobility, il 79 per cento dei Chief information officer oggetto diun'indagine di Accenture svolta in 14 Paesi (tra cui l'Italia) e in altrettanti settori di mercato. Oltre l'80 per cento la vede inoltre come un canale che può migliorare in modo significativo le interazioni tra i clienti ed esercitare un impatto rilevante sul business... Potete leggere tutto l'articolo qui

martedì 19 marzo 2013

Assumete chi infrange le regole o tra 10 anni sarete robot

Steve Jobs, il creatore di Apple, quando era presidente di Pixar, leader mondiale del cinema di animazione poi inglobata in Disney, assumeva regolarmente persone irregolari. Tra queste Brad Bird, famoso per aver lanciato i Simpson, quando fu chiamato dalla Pixar si senti dire:

" L'unica cosa che temiamo è scivolare nell'autocompiacimento. Dobbiamo importare persone dall'esterno per mantenere una situazione di squilibrio creativo". Poco dopo Bird spiegò così la logica della sua assunzione: " Mi hanno assunto perché portassi una certa indisciplina. Mi hanno licenziato parecchie volte perché ero indisciplinato, ma è la prima volta che mi assumono per questo."

Gary Hamel, nel suo Il futuro del management, riferendosi alle qualità che i collaboratori dovrebbero possedere in termini di contributo alla creazione di valore e alla generazione di vantaggio competitivo per l'organizzazione per la quale lavorano, propone una classifica di sei valori per comprendere le caratteristiche ideali dei professionisti che agiscono in mercati ipercompetitivi e ultrainnovativi, come dire l'ambiente sulla soglia del caos che oggi ci accompagna.

Passione 35%
Creatività 25%
Iniziativa 20%
Intelletto 15%
Diligenza 5%
Obbedienza 0%

In questa dimensione entrano in gioco anche la capacità di mettere continuamente in discussione le proprie conoscenze per acquisirne di ulteriori e diverse, la predisposizione al rischio e al fallimento, il non accontentarsi del mondo così come visto da una visione " unidirezionale ". Con un corollario, che sottoscrive lo stesso Hamel: le prime tre qualità dell'elenco qui sopra le potete comprare? E allora, come potete fare per assicurarvele? Chi sa rispondere a questa domanda tra 10 anni ci sarà ancora. Gli altri saranno vegetali o robot. 


martedì 26 febbraio 2013

Il Grillo è un buon cantore

Adoro questa canzone da 40 anni. Fosse una profezia?
Questo è il testo 

El grillo è buon cantore che tiene longo verso. Dale beve grillo canta. Ma non fa come gli altri uccelli, come li han cantato un poco van` de fatto in altro loco, sempre el grillo sta pur saldo Quando la maggior è [l`] caldo alhor canta sol per amore. 

Spero si capisca il senso generale... Il Grillo è diverso dagli altri, che vanno qua e là. Invece lui sta saldo, ha ideali e canta per amore.

L'autore è Josquin Desprez, sommo polifonista fiammingo del Rinascimento, celebre per le composizioni di carattere sacro, ma straordinario compositore di bazzeccole profane.