Sono un consulente aziendale, un coach e un consulente filosofico. Mi occupo di persone e organizzazioni. Qui scrivo di come cambiare le une e le altre. In particolare, ma non solo, con le pratiche filosofiche. Perchè, come dice Wittgenstein, "compito della filosofia è mostrare alla mosca come uscire dalla bottiglia". E... giusto per essere chiari: qui le mosche siamo noi. Per chi desidera scrivermi c'è l'e-mail paolo.cervari@gmail.com, mentre per saperne di più su ciò che faccio c'è www.cervari-consulting.com.

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venerdì 13 aprile 2012

Verità, bellezza, bontà

Ho letto questo libro di Howard Gardner, motivato dall’autorevolezza dell’autore, memore delle tesi di Formae mentis, un saggio sulla pluralità dell'intelligenza che mi ha trovato sostanzialmente d’accordo, e motivato pure, altresì, dalla coincidenza tra il titolo e i temi fondamentali della mia riflessione, e della riflessione filosofica nel suo insieme. Peraltro il sottotitolo del saggio: “educare alle virtù nel ventunesimo secolo” mi affascinava e speravo che il grande, davvero grande, intellettuale americano, uno di quelli capaci, come Noam Chomsky o George Steiner, di svariare tra le pieghe della cultura internazionale con uno sguardo d’insieme che spesso i solo europei non riescono ad applicare, ci desse qualche lume su questioni e problemi che interessano l’umanità più o meno da quando esiste. Ma sono rimasto deluso. Perché? Per due motivi. In primo luogo Gardner, attenendosi a uno stile analitico (da filosofia analitica, tipicamente anglosassone) rigoroso ma un po’ scabro e addirittura a volte noioso, non ci dà molto di più di quanto già sappiamo: la verità è fondamentale perché se mentiamo o pensiamo fesserie ci facciamo del male; la bontà è ciò che in fin dei conti, al di là delle diverse variazioni contestuali e culturali, tutti noi richiediamo agli altri e noi stessi, e su cui siamo in fondo abbastanza d’accordo quanto ai parametri fondamentali (non uccidere senza motivo, non fare i bastardi, mantenere gli impegni eccetera); la bellezza, il fascino della bellezza, ci interessa e ci motiva, anche se, ahimè, non siamo facilmente d’accordo su cosa sia bello oppure no. Tutto vero. Ma tutto qui? Ora, io penso che il vero interesse di mettere a tema questi concetti non stia tanto nella disanima separata del loro singolo status, ma nei collegamenti tra loro. E qui risiede il secondo motivo della mia delusione. Se infatti ha senso per noi preoccuparci di questi concetti o valori è perché ci dicono qualcosa di fondamentale su di noi, su ciò che veramente ci sta a cuore. E cosa ci interpella davvero al riguardo? Che la verità, la bellezza e la bontà in qualche modo si rispecchiano e si riverberano, ovvero sono, in fondo, per certi versi, la stessa cosa. Pensiamoci insieme. Una cosa vera non è forse anche un cosa buona? O meglio, come pensare che una menzogna o un errore siano una cosa buona? Le relazioni, spesso identitarie, tra etica e conoscenza sono un grande tema della riflessione filosofica, da Platone, anzi da Socrate, e forse da prima, in poi. Ed è pure vero che verità e giustizia (o bontà) a partire dall’età moderna sono state separate, e non solo per motivi surrettizi o storicamente determinati, perché è vero (vero) che una verità non è sempre buona (per esempio che hai una brutta malattia è vero, ma non è buono). Tuttavia resta il fatto che per ognuno di noi la verità è un parametro per decidere della bontà (o della giustizia) tant’è vero che nei tribunali si cerca di accertare la verità allo scopo di stabilire dove sta il bene e dove sta il male. Ma il vero grande assente in questo plesso problematico è il concetto di bellezza. Non voglio tirarla per le lunghe e ricorro a un aneddoto che cito spesso: dice Gregory Bateson (un altro grande intellettuale americano) che è molto facile capire qual è il capo di un branco di lupi. E’ il più bello. I greci dicevano kalos kai agathos, bello e buono. E Stendhal diceva che la bellezza è promessa di felicità. Come dire: la bellezza è armonia, e l’armonia è segno efficace di rapporti ben formati con l’ambiente, ovvero di giustizia e bontà, riconosciute come verità da chi vi è implicato. Ora, so perfettamente che procedere in modo acritico su questa strada ci riporta credere in Dio (che è vero, buono e bello) e sembra riproporre modelli propri di una società teocratica. Ma sta di fatto che qualcosa abbiamo perduto, e ne soffriamo. Ricomporre l’infranto (come diceva Benjamin)? Si, certo, perché l’infranto è l’inferno. Ma senza cedere alle lusinghe della totalitarietà. Perché se verità, bellezza e bontà alludono, nei loro diversi aspetti, a un Uno che le unisce e ne rende ragione, niente e nessuno sa a priori qual è. Non ci resta che costruirlo insieme.

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