Sono un consulente aziendale, un coach e un consulente filosofico. Mi occupo di persone e organizzazioni. Qui scrivo di come cambiare le une e le altre. In particolare, ma non solo, con le pratiche filosofiche. Perchè, come dice Wittgenstein, "compito della filosofia è mostrare alla mosca come uscire dalla bottiglia". E... giusto per essere chiari: qui le mosche siamo noi. Per chi desidera scrivermi c'è l'e-mail paolo.cervari@gmail.com, mentre per saperne di più su ciò che faccio c'è www.cervari-consulting.com.

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lunedì 13 febbraio 2012

The gamification of sex

E' un buon esempio di gamification, il modo di modificare la realtà con il gioco.

domenica 12 febbraio 2012

L’“Organizzazione individualizzata” di Bartlett e Ghoshal

Secondo Bartlett e Ghoshal nel contesto economico attuale, caratterizzato da una forte competizione basata sulla conoscenza e sui servizi, la chiave del vantaggio competitivo sta nella creatività e nell’iniziativa delle persone. Di qui il concetto di Organizzazione Individualizzata ovvero un’organizzazione in grado di «valorizzare la conoscenza idiosincratica e le abilità uniche di ogni individuo lavoratore». Secondo i due studiosi, le organizzazioni che intendono realizzare questo obiettivo devono costituirsi intorno a tre macroprocessi decisivi:

1) Il processo di rinnovamento. Affidato ai top manager, consiste nella continua rimessa in discussione delle credenze e delle pratiche che sono alla base delle strategie di business dell’organizzazione. Per fare questo i top manager devono andare oltre i loro compiti tradizionali di disegno delle strategie, definizione di strutture e guida dei sistemi, per occuparsi invece soprattutto di scopi organizzativi, processi organizzativi e sviluppo delle risorse umane (ovvero le “tre p”: purpose, processes, people).

2) Il processo di integrazione. Affidato ai middle manager, consiste nella costruzione di più ampie e diverse capacità organizzative basate sul collegamento delle diverse competenze, allo scopo di massimizzare le potenzialità del capitale sociale e intellettuale dell’organizzazione.

3) Il processo imprenditoriale. Affidato ai front-line manager, consiste nella continua ricerca e sviluppo di nuove opportunità di business e comporta la creazione di piccole unità organizzative dotate di larga autonomia decisionale.

Per tutto quanto sopra cfr. S. Ghoshal, C:A. Bartlett, The Individualized Corporation, London, William Heinemann, 1997. S. Ghoshal, C. A. Bartlett, Changing the role of Top Management: beyond strategy to purpose, in “Harward Business Review”, Novembre Dicembre 1994.

domenica 22 gennaio 2012

Comunità

Le gerarchie sono estremamente efficaci per aggregare lo sforzo. Ma quando bisogna mobilitare le capacità umane, le comunità fanno meglio delle burocrazie.

Gary Hamel Il futuro del management

giovedì 29 dicembre 2011

Guerra originaria

Ho appena finito di leggere Bisogna difendere la società, uno dei corsi di fine anni Settanta al Collége de France di Foucault, che mi ha lasciato un'idea che credo importante. Sostiene, Foucault, che fino a circa il Seicento, la teoria e la filosofia politica si sono fondate su un'idea di sovranità che comportava un'armonia, un'omogeneità e una pacificazione che affondavano le proprie radici nella teoria platonica e aristotelica della polis, e prima ancora, mi viene da aggiungere, nel modello cosmologico del mondo di quaggiù, l'armonia celeste che propaga la sua immagine potente almeno fino a Kant, al suo cielo stellato, che stava sopra di lui a infondere cosmica armonia come e quanto altrettanto faceva la legge morale in lui. Il sovrano, il re, rende abitabile, prospero e armonico il popolo e il territorio: lo costituisce. Ma a partire dal Seicento - dalla sua fine - prende forma un altro paradigma: quello della guerra. All'origine della società non c'è il caos, poi normalizzato dal sovrano (e Hobbes con la sua astratta guerra di tutti contro tutti rientra secondo Foucault in questa tradizione), bensì la guerra tra due fazioni, una ferita, una differenza insanabile tra dominanti e dominati, tra invasori e invasi... idea che tra l'altro sta alla base di quel delirante e meraviglioso libro teso tra neolitico e quest del Graal, tra culti matrilineari e calendari celtici agresti che è La Dea Bianca di Robert Graves. Secondo quest'idea, quella presentata da Foucault, all'origine della storia, dunque, non c'è l'indifferenziato o il caos, ma una polarizzazione originaria tra noi e loro: un conflitto. Foucault non lo dice, ma è possibile a mio avviso ritrovare questa tradizione nella storia della filosofia europea premoderna. Penso per esempio a Eraclito o a Democrito, o a Vico o a Machiavelli, benché quest'ultimo Foucault escluda esplicitamente da un philum che secondo lui nasce nella storia europea soltanto alla fine del Seicento. Al di là di questo, tuttavia, credo che sia interessante l'alternativa: armonia o conflitto? All'origine cosa c'è? Perchè il punto chiave sta in questo: se c'è l'armonia allora bisogna tornarvi, ma se c'è il conflitto si può solo andare avanti, concluderlo, risolverlo. Ovvero progredire, e non è un caso che Foucault ponga questa idea del conflitto originario all'origine (non so se è solo un bisticcio di parole) della modernità. Inoltre c'è un'altra conseguenza importante: se il primum è il conflitto allora il pensiero strategico, lo schierarsi da una parte o dall'altra, è questione necessaria e forse insuperabile. Il che implicherebbe che qualsiasi elogio dell'armonia altro non sia che ideologia volta all'autocelebrazione dei vincitori o, il che in fondo è lo stesso, volta a imbrogliare o mantenere sottomessa la controparte, il partito dei vinti. E dunque: la verità è neutra, una, forse divina, o solo differente, molteplice e schierata? Ed è solo questa l'alternativa possibile?

domenica 4 dicembre 2011

Charlene Li

E' un cosidetto guru aziendale. A me piace. Dice delle cose interessanti su social network, mercati e sviluppo organizzativo: qui.

mercoledì 7 settembre 2011

Animali storici

Ryszard Kapuscinski (chiedo venia per le lettere slave storpiate) nel suo bellissimo Nel turbine della storia (Feltrinelli) dice a un certo punto del primo articolo della raccolta "che tre sono i principali pericoli che minacciano la memoria. Il primo è l'enorme sviluppo dei supporti di memoria", il secondo, continua Kapuscinski, è "l'eccesso di dati", il terzo "é la grande accelerazione dei processi storici" per cui "abbiamo perso il senso della stabilità e della familiarità col mondo".
Ciò che mi piace di questo grande giornalista è che pensa con la sua testa e si esprime senza giri di parole, in pratica ci dice: le cose sono sempre di più, le registrazioni pure e i supporti di memoria, ovvero le esternalizzazioni della nostra mente, sempre più potenti. Fine della memoria dunque? Ma non lo si è detto anche alla comparsa della scrittura? I somali trent'anni fa sapevano all'incirca 100 numeri di telefono e i popoli senza scrittura avevano una memoria prodigiosa... Credo che la questione non stia in questi termini. Credo che la memoria cambi nel tempo procedure, supporti, modalità di registrazione e quindi anche di gestione, modo di produzione e qualità. Insomma da un periodo storico all'altro di regola non è più la stessa e io per esempio, oggi, non mi ricordo più, a differenza di decenni fa, dati bruti, ma se mai indicatori e processi per trovarli o combinarli o produrli. Da sempre la tecnologia che, secondo Leroi Gourhan, esternalizza facoltà prima precipuamente umane (dalla mano alla zappa, dall'unghiata alla freccia, dal ricordo alla scrittura e al chip), ci sottrae la padronanza delle stesse per aprirci, in compenso, nuove possibilità e nuovi mondi. E bene fa Kapunscinski a ravvisare pericoli per la memoria, ovvero, per meglio dire, trasformazioni.
Ma non credo che l'esito sarà la distruzione della memoria, così come il cavallo e l'automobile non ci hanno privato dell'uso delle gambe, ma semmai aperto il varco allo sport e alla palestra. Piuttosto credo che la questione stia nella trasformazione in atto dei meccanismi di narrazione, di tramandamento e di tradizione, ovvero di storicizzazione. Che stanno cambiando profondamente. Come? Questa mi sembra una buona domanda.... Anche perchè la storia è a mio parere una dimensione propria, specifica e imprescindibile dell'umanità. Come dire: se siamo animali politici è anche perchè siamo animali storici. O no? Possiamo essere non storici?