Sono un consulente aziendale, un coach e un consulente filosofico. Mi occupo di persone e organizzazioni. Qui scrivo di come cambiare le une e le altre. In particolare, ma non solo, con le pratiche filosofiche. Perchè, come dice Wittgenstein, "compito della filosofia è mostrare alla mosca come uscire dalla bottiglia". E... giusto per essere chiari: qui le mosche siamo noi. Per chi desidera scrivermi c'è l'e-mail paolo.cervari@gmail.com, mentre per saperne di più su ciò che faccio c'è www.cervari-consulting.com.

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domenica 13 dicembre 2009

Vita Nova

All’inizio della Vita Nova, Dante “rubrica” – usa questa parola – quanto poi scriverà in quell’opera sotto l’etichetta, o dizione, “incipit vita nova”. Con questo intendo dire che si tratta, e si tratta sempre, di un inizio, di un cominciamento, di una creazione e di una ricreazione. E anche di un ricordare, di un riprendere in mano, di un ridescrivere quanto già occorso. Infine, così come accade nella Vita Nova, si tratta anche sempre di un incontro – con Beatrice, nel caso di Dante. Con questo intendo sottoscrivere quanto sostiene Slavoj Žižek in Leggere Lacan, ovvero che per il pensiero ebraico-cristiano la verità viene fondata, nasce, insieme al mondo e al soggetto, dall’incontro traumatico con qualcosa che viene da fuori, dall’esterno (il desiderio dell’Altro, secondo lui). E’ un poco la stessa cosa che ci mostra Marquez in Cent’anni di solitudine, coi suoi zingari o gitani che siano che vanno in giro a diffondere invenzioni. Insomma, ciò che tu sei, pensi, desideri trova nell’altro (nell’Altro) la sua origine, la sua spiegazione e forse la sua motivazione, così come il suo scopo. Interessante a questo proposito è la distinzione fatta, nello stesso passo, sempre da Žižek , che riprende Kierkegaard, dicendo che la scelta cui siamo chiamati ha il suo paradigma nella polarità Socrate/Cristo, poiché per il paganesimo (e i Greci, pertanto), la verità giace e si trova e ritrova, invece, in una risalita verso un’origine coerente con noi, che sta in noi (è la rammemorazione Platonica, per esempio), e quindi senza il rapporto traumatico ed eterologico con l'altro. Io, per la verità, non sono sicuro che si debba scegliere, in questi termini per lo meno, tra Socrate e Cristo. Credo piuttosto che, da una parte, il pensiero ebraico/cristiano, con la sua idea dell’incontro con l’altro, sia un’eredità ineludibile, e che però, dall’altra, la filosofia, ovvero Socrate e con lui il paganesimo e gran parte della nostra tradizione di pensiero, ci aiutino ad evitare di consegnarci inermi nelle mani dell’Altro, sia esso un Dio, un Ideale o una nostra Immagine Amatissima. Come dire: che siamo desideranti è vero, ma che non sia un destino.

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