Sono un consulente aziendale, un coach e un consulente filosofico. Mi occupo di persone e organizzazioni. Qui scrivo di come cambiare le une e le altre. In particolare, ma non solo, con le pratiche filosofiche. Perchè, come dice Wittgenstein, "compito della filosofia è mostrare alla mosca come uscire dalla bottiglia". E... giusto per essere chiari: qui le mosche siamo noi. Per chi desidera scrivermi c'è l'e-mail paolo.cervari@gmail.com, mentre per saperne di più su ciò che faccio c'è www.cervari-consulting.com.

Cerca nel blog e nei links

lunedì 28 marzo 2011

Le grandi sfide per il management del XXI secolo – 6

Con rimando ai precedenti post che si trovano sotto l'etichetta "25 sfide per il management di domani", la sfida per il management di domani numero 6 è:

Reinventare gli strumenti di controllo. Per superare il trade-off tra disciplina e libertà, i sistemi di controllo devono incoraggiare il controllo dall'interno anzichè i vincoli imposti dall'esterno.

Bello eh? Ma abbiamo chiaro cosa significa? Qui il nostro autore (ricordiamo che si tratta di Gary Hamel) a mio avviso scivola, o meglio confonde (a meno che non sia colpa del traduttore, ma ne dubito) un po': quando parla di esterno, intende, in realtà, dire "esterno a me", e quando parla di interno, intende qualcosa di simile a "comunità", ovvero qualcosa in cui mi riconosco. Mi spiego con un esempio: in una certa azienda di cui non ricordo più il nome, il problema relativo a una buona gestione delle spese di trasferta è stato risolto pubblicando nell'intranet aziendale le spese di ciascun manager, in ogni dettaglio.... Questa "pubblicità", termine da considerare in senso stretto, vale a dire come "essere in pubblico", tende a scoraggiare con facilità comportamenti pirateschi e appropriativi quali scolarsi a cena una bottiglia di Chateau Margot del '67 alla modica cifra di 300 euro. O meglio, rende tali comportamenti soggetti alla critica, alla valutazione, all'attenzione da parte della comunità (comunque la si limiti o filtri) - chissà, forse a volte è giusto ordinare a spese della comunità una bottiglia del genere, magari quando si ha per ospite una persona di riguardo che potrebbe generare per la comunità vantaggi ben maggiori della spesa. Insomma, è un po' come quando sai che ti osservano e di conseguenza di viene meno facile buttare la carta per terra. Ora, il punto interessante, secondo me, è che questo modo di procedere comporta una forte coerenza con i valori e la mission e "costringe" le persone a "comportarsi bene" non perchè verrebbero sanzionate o giudicate male, ma perchè gli altri li considererebbero poco "ok", in quanto "traditori" del bene comune. Già... il bene comune. Grande concetto, poco praticato. E se pure tralascio, ora, di esplorare difficoltà e paradossi relativi alla definizione del limite di questo "comune" (ovvero il problema di decidere fin dove si estende... perchè sotto certi aspetti siamo tutti e sempre stakeholders) mi chiedo e vi chiedo: non è forse questo il vero e unico motivo a partire dal quale si possono allineare - come già secoli fa auspicava Blanchard - obiettivi personali e organizzativi? E per converso, chiedo ancora: dove si va a finire se ci si dimentica del bene comune in un'organizzazione in cui le persone, in ultima analisi, sono libere di decidere se lavorare bene o no? E visto che che credo di sapere quale risposta avete dato alle domande di prima, chiedo infine: come mai di queste elementari verità se ne infischiano quasi tutti?

Per maggiori informazioni vedi http://managementlab.com e "Le grandi sfide per il management del XXI secolo", in Oltre la crisi, Piccola Biblioteca del Sole 24 Ore N. 19/2009, Il Sole 24 Ore.

Nessun commento:

Posta un commento